LA GIUBIANA TRADIZIONE LOMBARDA CHE SI ACCOMUNA CON I GIORNI DELLA MERLA
POESIA DIALETTALE SULLA GIUBIANA CON TRADUZIONE
La Giubiana e'l Gianè
La Giubiana e'l Gianè
van in lecc cun frecc i pè,
vanno a letto con i piedi freddi
quand el suna mezanot
quando suona mezzanotte
hien su a mangia ul risot.
si alzano a mangiare il risotto
La Giubiana la va a spass,
La Giubiana la va in giro
tuta bruta cui margasc*
tutta brutta con i margasc*
Tuta la gent la ga va a drè
tutta la gente le va a dietro
chi pica i padei chi pica i pè.
chi picchia le padelle chi picchia i piedi
E quand la riva in piaza gronda
e quando arriva in piazza grande
tut ga fan festa grande.
tutti gli fanno festa grande.
E per finila in alegria
E per finirla in allegria
briisan lè e la stregoneria.
bruciano lei e la stregoneria.
*margasc (fusto del granoturco secco)
LA GIBIANA (in brianzolo)
La Giubiana o Festa della Giobia è una festa tradizionale molto popolare in Piemonte e in Lombardia, specialmente nella Brianza e nelle terre Comasche, Milanesi e Varesine. Alla fine di gennaio, di solito l’ultimo giovedì del mese, nelle piazze dei vari paesi si prepara un grande falò dove viene fatto bruciare un fantoccio di paglia vestito di stracci (la Giubiana per l’appunto), che rappresenta i mali dell’inverno e dell’anno trascorso.
Si tratta di una cerimonia certamente antica, ma sulle sue reali origini si scontrano varie ipotesi. Secondo alcuni, il rito avrebbe valenza “politica”, vedendo in esso una trasposizione allegorica del conflitto tra popolo e tiranno; altri pensano ai tempi dell’Inquisizione e della caccia alle streghe, lasciate bruciare vive sui roghi; altri ancora vi riscontrano residui di riti celtici risalenti al I secolo d.C, quando fantocci di vimini intrecciato erano dati alle fiamme dai sacerdoti druidi per propiziarsi il favore degli dei in battaglia o per ottenere benevoli influssi nelle stagioni della semina e dei raccolti. Altri infine, attribuiscono gli attuali roghi a quelli dei sacerdoti cristiani che nel IV secolo d.C. bruciavano simbolicamente le divinità pagane.
Anche sul nome “Giubiana” ci sono diverse interpretazioni sia per quanto riguarda l’origine che il significato. Inoltre, esso varia a seconda delle località: Gibiana nella bassa Brianza, Giobbia in Piemonte, Giöeubia nel Varesotto, Giubiana/Giübiana/Gibiana nell’alta Brianza e nella provincia di Como, Zobiana in Trentino e nel Bresciano.
Giubiana potrebbe derivare da “Joviana”, ossia Giunone, dea della fertilità, oppure dal padre degli dei Giove,in latino “Jupiter-Jovis”, da cui l’aggettivo Giovia, e quindi Giobia, e il giorno giovedì (in dialetto piemontese, infatti, Giobbia significa proprio giovedì). In quest’ultimo caso, il termine indicherebbe le feste contadine di inizio anno per propiziare le forze della natura che, secondo la credenza popolare, condizionano l’andamento dei raccolti. La festa della Giubiana, infatti, viene celebrata in un particolare periodo dell’anno, ovvero quando l’inverno si avvia verso la sua conclusione e si avvicina sempre più l’equinozio di primavera, il cosiddetto “tempo sacro” delle società primitive, la cui vita ruotava intorno alla fertilità della terra, alla concimazione dei campi e all’abbondanza dei raccolti. Tutte cose che necessitavano di riti propiziatori.
E’ fortemente possibile che a questo significato originario si siano poi aggiunte, nel tempo, connotazioni di stregoneria (come è spesso accaduto con molti riti precristiani), che hanno trovato incarnazione nella figura antropomorfa di una vecchia e magra strega.
Secondo Cherubini, autore di un vocabolario Milanese-Italiano pubblicato tra il 1839 e il 1843, “Giubiana” significa “fantasma”, e di qui la nascita di una festa per esorcizzarlo. La sua affermazione è documentata con l’esempio di Gallarate, dove però la festa non viene più rinnovata dal 1859.
Spiegazione più completa viene data da Angelico Prati nel suo vocabolario etimologico italiano del 1951, secondo il quale “Giubiana”, oltre a “fantasma”, significa anche “donna vile”; in trentino “Zobiana” equivale a “strega”, mentre in bresciano a “sgualdrina”. La derivazione è comune: dal milanese “gioebia” o dal trentino “zobia”, ovvero “giovedì”, giorno utilizzato dalle streghe per i loro riti satanici.
La Gibiana o Giubiana ha, quindi, man mano conquistato un aspetto e una propria storia: una strega, spesso magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse, che vive nei boschi e, prorio grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. L’ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. Ma, una volta, una mamma, che voleva molto bene al suo bambino, le tese una trappola. Preparò una gran pentola piena di risotto allo zafferano con la luganega (salsiccia), e lo mise sulla finestra. La Gibiana sentì il buon odore e corse con la sua scopa verso la pentola. Si mise a mangiare il risotto e non si accorse che stava per arrivare il sole. Il sole uccide le streghe, così il bambino fu salvo.
Ancora oggi, durante la festa della Giubiana che brucia, si mangia il ‘risotto con la luganega’ (salsiccia), accompagnato dal ‘vin brulé’.
Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui ci si trova. Per fare alcuni esempi:
A Cantù, con la Giubiana bruciano i mali della città e i vizi dei suoi cittadini, che, insieme alle autorità, assistono al rogo. Qui il fantoccio che viene arso rappresenta la bellissima giovane castellana che, la notte di un giovedì di gennaio di oltre settecento anni fa, bussò a uno degli ingressi del borgo di Canturio facendosi consegnare con l’inganno le chiavi della città, così da poter aprire i pesanti battenti della porta ai Visconti che conquistarono il paese. Si tratta però soltanto di una leggenda.
A Canzo, la Giubiana è sottoposta ad un vero e proprio processo in canzese con la sentenza dei Regiuu, ovvero gli anziani autorevoli del paese, e altri personaggi simbolici. La festa è arricchita da vesti tradizionali, suggestivi addobbi, tra cui la gamba russa (cioè “rossa”), paramenti a lutto e musica di tamburi. L’atmosfera è di forte sacralità e festosità, grazie al simbolismo, di origine celtica e cristiana, presente in tutta la manifestazione.
Ad Albavilla, un corteo trasporta in giro per il paese il fantoccio della Giubiana destinato ad essere bruciato. Il corteo è composto da alcuni carri allegorici ed è accompagnato da un gruppo folcloristico e dalla banda cittadina.
IN EUROPA
Durante l’inverno, si accendono fuochi per lo più alla vigilia di Ognissanti, a Natale e nella notte della Befana.
Ricorrono poi cerimonie nelle prima domenica di Quaresima, in cui si possono riscontrare gli stessi motivi presenti nella festa della Giubiana: la protezione dei raccolti, la fertilizzazione dei campi e la cacciata delle forze malvagie. Comuni alle feste europee, soprattutto in Francia, Belgio e Germania, sono la scelta del luogo (un’altura) e le modalità di preparazione dei roghi.
I GIORNI DELLA MERLA
I Giorni della Merla Arrivano puntuali i tri dì de la merla, i tre giorni della merla, a fine gennaio, quando il freddo è così intenso da far gelare, a volte, persino le acque del Po, e dunque si dice che La merla l’ha passat el Po. Sono considerati, da noi, i giorni più freddi dell’anno e le leggende intorno a questa tradizione sono molte.
Se sono freddi, la Primavera sarà bella, se sono caldi la Primavera arriverà tardi.
Molti racconti riguardano poi naturalmente i merli, che una volta, si dice, erano bianchi come colombe. Un giorno uno entrò in un camino per scaldarsi e ne uscì dopo tre giorni tutto nero per la fuliggine.
Un’altra versione narra che due merli dalle candide piume, maschio e femmina, si ripararono per il freddo in un camino. Non avendo nulla da mangiare il maschio decise di uscire per cercare qualcosa. Dopo tre giorni tornò e trovando un uccello nero come il carbone, non riconobbe la sua merla e tornò indietro per cercarla. La merla, annerita per la fuliggine, nel frattempo morì di fame.
Il Falò de la VeciaAltri riportano invece che alla fine di gennaio il merlo e la merla si sposarono, come di consuetudine, al paese della sposa, oltre il Po. Avrebbero dovuto riattraversarlo per tornare nella loro casa, ma siccome si era fatto tardi si fermarono per due giorni presso dei parenti. La temperatura si abbassò molto, e il merlo fu costretto a sorvolare il Po ghiacciato e morì. La merla iniziò a piangere e il suo lamento si sente ancora lungo il Po, nelle notti di fine gennaio.
I tre giorni della merla si festeggiano cantando in compagnia, divisi in voci che si alternano. I due riti finali sono “il falò de la vecia” e “el bal de Martin e Mariana”. In cima al falò viene posizionata una colomba bianca di cartapesta che, a causa del fumo che sale dal fuoco, diventa immediatamente scura, realizzando ciò che la leggenda racconta. Il falò di fine gennaio è un auspicio per l’anno nuovo, che sia migliore del precedente, e che si porta via tutto ciò che c’è di vecchio. Il ballo finale dei due sposi Martino e Marianna racconta di uno dei soliti bisticci tra i due: nonostante il freddo pungente, Martino è uscito e chissà dov’è. Torna e si ferma sulla porta di casa perché ha bevuto, sostenendo che la moglie l’ha chiuso fuori. Si è comprato un cappello nuovo che però ha pagato troppo. Per questo scatta immediatamente la lite con Marianna, ed entrambi sembrano piuttosto agguerriti. Alla fine però tutto si scioglie in un ballo. Questa riconciliazione indulgente e divertente è l’augurio per i giorni a venire.
I CANTI DELLA MERLA
La colomba biancaI canti della merla, distesi e aperti, richiedono sempre due cori e molta gente intorno perché celebrano e festeggiano un passaggio, attraversato come rito collettivo: un distacco, una partenza, un matrimonio, una scaramanzia, un nuovo inizio. Ritraggono sentimenti semplici in corrispondenti semplici forme: “Pool v’is ‘na fantasia canta per n’uzelòt, / ma ‘ntant el porta via… dal coor tûti i magò”. Cantare per un uccellino sarà forse una fantasia, ma toglie dal cuore ogni malinconia. La colomba bianca e la merla, spesso assimilate, volano, cantano, si perdono, si riposano dalla fatica del volo e ritornano. Somigliano a giovani spose con qualche dolore, perché in questi rituali pieni di rispetto, di grazia, di poesia, si accoglie la tristezza per tenerla lontano il più possibile. Il mondo rustico, tradizionale, allegro esclude ogni atteggiamento di insoddisfazione e di ansia che incrinino quel mondo, che è un mondo completo e che, se osservato attraverso le proprie sensazioni, esprime una verità naturale e quasi religiosa. L’ironia certo non manca, perché non manca l’abbandono sentimentale, e l’allegria e la saggezza corrispondono all’improvvisa coscienza della propria condizione contadina, che alterna ire e carezze.
I riti della merla in provincia di Lodi
Tradizione vuole che nel lodigiano i riti della merla si celebrino sull’Adda a Crotta e Meleti, dove dall’altra sponda c’è la provincia di Cremona. Il gruppo “Amici della merla” ha sede nella Parrocchia di San Lorenzo Martire di Crotta d’Adda.
ciao luis ,notiamo che il tuo blog non ci viene aggiornato,crediamo ci siano dei problemi di script nel tuo blog,se anche gli altri che ti hanno messo nei loro blog hanno lo stesso problema e' un problema del tuo blog,altrimenti ,Bestar quando avra' tempo guardera se il tuo script e' esatto.Come sempre un salutone al nostro mito.
ciao luis
ciao staff vi ringrazio per la vostra premura a riguardo del mio blog, e vi ringrazio per il commento lasciato buona domenica a tutti luis